Sala Espositiva del Museo Gonzaga (orari di apertura: Domenica 10.00-12.30 - 15.00- 18.30)

Tagete (Tagetes patula) per cominciare.
E’ il 19 luglio 2021, uno dei nostri torridi, sonnolenti pomeriggi di luglio; con le macchine, raggiungiamo il Tempio, inizialmente per scoprire qualcosa, poi per scoprire il valore specifico che la comunità Sikh infonde alla Natura e che con essa crea da sempre.
Dal Punjab, i primi migranti si stabilirono in Italia negli anni Ottanta; stando alle testimonianze e alla documentazione, possiamo affermare che, il massiccio inquinamento di quel suolo, delle acque e del sottosuolo, senza via di ritorno, sia stato conseguenza della politica economica di Indira Gandhi, delle speculazioni legate all’agricoltura geneticamente modificata, oltre che di dissidi storico-politici e religiosi con l’India ma non solo.
Nella campagna emiliana - raccontano i nostri ospiti - ci sarebbero i presupposti di un habitat simile a quello d’origine.
I punjabi sono contadini, lavoratori ingegnosi per la conservazione di antiche pratiche ed esperti allevatori di bestiame, tanto da essere considerati particolarmente abili nel trattamento, in stalla, delle mucche da Parmigiano-Reggiano.
Ma torniamo alla nostra visita al Tempio, presso il quale siamo accolte con molta gentilezza e, senza formalità, ci è concesso di esplorare lo spazio circostante con offerta di cibi e bevande, imbanditi in occasione delle funzioni che, in quel momento, si stanno svolgendo all’interno.
Ci imbattiamo nel tagete che adorna i vasi, posti con l’immancabile flacone di gel igienizzante, all’ingresso della sala di preghiera.
Ci sembra di essere travolte nella mistica del luogo, come fossimo state sbalzate improvvisamente ad Amritsar, nelle terre di antichi sapienti, in una fiaba lontana, fuori dal caos e per questo sicura, travolte dal misterioso desiderio di Dio, di fresca devozione che ha abbandonato, da tempo, il nostro rigido esprit de géometrie. E mentre gli uomini innalzano preghiere, belle e riposanti nella loro ripetitività circolare, le donne intonano canti simili all’inno cristiano.

Le loro voci si incrociano e si distendono con gli svariati timbri di un mottetto.
Il tagete ascolta e prega, a mani giunte, vestito di vitamine; non disturba la quiete che regna sul piazzale assolato e che verrà adibito a parcheggio.
Qui ci attende lo stupore.
I vialetti divisori sono vere aiuole coltivate a fiori e un sistema d’irrigazione trasporta l’acqua per irrorare dolcemente, goccia a goccia; qui vive il tagete, figlio prediletto della comunità, elemento principale di addobbo nelle ghirlande alla processione del Vaisakhi.
Il tagete è simbolo di beatitudine, non avanza alcuna pretesa pur avendo ogni pretesto per potersi celebrare; importato nel XVI secolo dal Messico dove tuttora è utilizzato per festeggiare i morti, il cui spirito torna sulla Terra a visitare i congiunti, questo fiore vanta una livrea calda e accogliente, gonnella di cartapesta e turbante; viene utilizzato per addobbare le tombe con spettacolari altari fioriti mentre i suoi petali che, avrebbero il potere di trattenere in sé la luce del sole, servono a tracciare, nel buio, i sentieri percorsi dalle anime.
Al Tempio arriva gente: i bambini, alcuni oranti, gli addetti alla cura delle piante ed è a quel punto, davanti alla rosea siepe di Oleandri che, senza timore di imbatterci nella banalità, chiediamo una foto di gruppo.

E siamo tuttora molto soddisfatte della nostra foto di gruppo perché l’obbiettivo incrocia e coglie sguardi diversi, diversi punti di vista sgorganti da anime uniche per età e temperamento.
Ed è come se l’Oleandro (nerium oleander), con i suoi fiori di morbida pelle, avvolgesse tra le braccia, i suoi compagni di preghiera a Dio. L’Oleandro è armonia dell’Universo composto da triadi e la triade, come osserva Pitagora, è l’Esistenza in cui Mutevole ed Immutevole si congiungono.
Alberi e fiori accomunano le fedi; ne siamo convinte.

Sempre al parcheggio, incontriamo la pianta di Olivo (Olea europaea), Luce di Dio, Sapienza e Rigenerazione ma contemporaneamente Castità e Prosperità, Pace e ispirazione mistica.
In Cesare Ripa si legge:“credo voglia significare che la Carità è colui che se la vuol fare deve togliere del suo nodrimento a sé per compartirlo ad altri e prima ai più prossimi, poi ai più lontani”.
L’Olivo è albero di Maometto, Paradiso degli Eletti; per i cristiani è comunione finale nel Cristo e col Cristo; basti pensare al battesimo dove olio e crisma, l’unguento profumato da balsamo e aromi, sono benedicenti e augurali come, a conforto spirituale, l’olio è impartito agli ammalati. Ebbene il nostro piccolo Olivo, dai caldi e verdi frutti che le terre del Sole producono, distende qui le sue braccia verdi al trifoglio, cresciuto spontaneamente e che verso di lui si allunga, porgendo la sua testina sapor di zucchero.
Il parterre dell’Olivo è umile, di erbe selvatiche e graminacee, di tarassaco (Taraxacum officinale) e trifoglio, di ciottoli da muretto sbrecciato.
Poco più lontano c’è il Fico (Ficus carica), fecondo e saggio.
Giunto nel bosco sacro dove vive il fico degli asceti, Siddharta Gaitama ha pronunciato queste parole: “Possa su questo sedile, il mio corpo seccarsi e la mia pelle, le mie ossa, la mia carne dissolversi. Finché non avrò raggiunto il Risveglio, tanto lungo, tanto difficile da ottenere, non mi muoverò da qui”.
Nei più antichi monumenti, Buddha non è raffigurato; si vede l’albero Bo, immagine del processo di Illuminazione, del risveglio, del raccoglimento ai fini della trasformazione spirituale dell’Uomo come avviene nell’Apocalisse di Mosè e in Tertulliano e dove il fico è Albero della Conoscenza.

Per la comunità Sikh, i Kakaar sono i segni della fede:
Kesh, capelli lunghi, non tagliati, in quanto Dio, così ha creato l’uomo.
Kanga, il pettine che pulisce.
Kaccha, i pantaloni dell’autocontrollo e castità.
Kara, il bracciale d’acciaio che rappresenta la forza infinita di Dio.
Kirpan, il pugnale cerimoniale, simbolo di lotta contro l’ingiustizia.
Khanda, simbolo del potere creativo universale: un cerchio con al centro una lama a due tagli. Il cerchio indica l’infinito mentre le due lame rappresentano l’equilibrio spirituale e temporale dell’universo e il potere onnipotente del Creatore. Guru Granth Sahib è il Libro sacro sul quale durante la cerimonia solenne del Vaisakhi, viene fatto sventolare il chauri, un ventaglio di pelo di yak; questo gesto esprime la venerazione per la parola rivelata da Dio.
Al tempio, un bel ragazzo che non parla italiano ci viene a chiedere se abbiamo fame e se desideriamo qualcosa da bere; la conversazione ha inizio grazie al mio inglese stentato. Il nostro ospite è indaffaratissimo poi chiede di mettersi in posa per una fotografia e noi lo invitiamo ad accarezzare il tagete fino a quando non scorgiamo somiglianze tra il suo volto e la florida calatide del Girasole (Helianthus annuus). Le frontali non ci soddisfano perché non colgono perfettamente la dolcezza dello sguardo inquadrato dal turbante e dalla luce; il giovane uomo e il girasole si osservano, si sono riconosciuti fratelli.
Il fiore è dio re, personificazione terrena del Sole divino e sua immagine vegetale. Del nostro ospite, non conosciamo il nome ma nonostante questo, lo riconosceremo ovunque grazie alla sua corolla.

16 agosto 2021
Ci sono girasoli anche sul retro del Tempio, la cui “abside” finestrata sporge su una laterale di via Casella.
Siamo soddisfatte nonostante, questo pomeriggio, pare che nessuno desideri farsi fotografare; attraversando la cocomeraia di via Cattania dove hanno trovato impiego, per la stagione estiva, membri della comunità, ci rendiamo conto che, qui, proprio qui, si nasconde una delle parti più interessanti del nostro reportage sul paesaggio multietnico novellarese, sulle tracce che l’uomo affida alla natura per non essere dimenticato, per sopravvivere alla liquidità del tempo e alla sua indifferenza.
L’abbiamo chiamata “cocomeraia”; in realtà, questa piantagione accoglie altri frutti tra cui la zucchina di cui troviamo magnifici esemplari per dimensione. E’ questo l’orto che, la nostra fantasia fa partorire di “stranezze” come nelle raccolte tassonomiche di Bartolomeo Bimbi, nelle quali la campagna toscana viene descritta oltre la consuetudine della normalità e dove alla bio-diversità si attribuisce un valore aggiunto, già nel XVII secolo.
Sono i cocomeri (Citrulli vulgari), i “grandi cuori spaccati e freschi” (da Tommaso Marinetti), dal nome greco Indiké (Indiana) che, fanno uscire una polpa succosa e rossa, di frutto che non esiste più e dalla decomposizione di questa vitalità solare, vitaminica e sanguigna poterne scorgere il nutrimento goloso per altre creature, un anello circolare e perfetto dell’ecosistema padano che, la cura dell’uomo ha provveduto a non eliminare come inutile spazzatura ma come compost.

In India, la grande fecondità di questa pianta dal fusto prostrato con grandi cirri semplici, foglie a contorno cuoriforme e fiori monoici a corona gialla, ha evocato l’omonimo principe leggendario Ikshvâcu oppure la non meno leggendaria moglie di Sagara, che partorì un cocomero, prima dei restanti sessantamila figli.
Lungo la strada che ci porta alla “schiena” del Tempio, la luce è accecante e la riva del fosso è coperta di finocchio selvatico, avena, achillee ormai arse dal sole, cicorie, azzurre infiorescenze di aglio selvatico; è un quadro impressionista, tripudio festoso per api e altri insetti impollinatori.
E’ magico poter ammirare, alla prima luce del mattino o al tramonto, quest’angolo di mondo, soprattutto dopo la pioggia e quando le vigne colme e i campi arati sono già abitati da famiglie di fagiani.

Al bivio di via Cattania è stato collocato un pilastrino di devozione che, nel paesaggio padano, è divenuto un punto di sosta durante le passeggiate Campagnola-Novellara, incontro e scambio tra le persone.
Ora la bacheca del pilastrino contiene una Madonna vestita di bianco, che ha sostituito la precedente, dedicata a quella nera di Loreto.
Qui, sul piccolo spiazzo erboso, si siede a meditare l’anziano sikh dal turbante e mojari blu, davanti ai ceri di Padre Pio mentre all’alba, una gentile signora che saluta i passanti (il saluto non sia dato per scontato) raccoglie fiori e recita il rosario. Tutti camminano tra via Casella e via Cattania e se non tutti ammirano la natura piatta della Bassa, almeno camminano e sono invitati a incrociare lo sguardo di chi sta loro davanti.
Niente male sarebbe per chi si occupa di itinerari e della filosofia che li anima.

Gli orti circostanti il tempio sono come quello di Rachhpal con i peperoncini verdi e rossi; quelle che consideravamo erroneamente semplici zucchine dai fiori bianchi si sono scoperte Lagenaria siceraria (Molina), specie alloctona nelle regioni umide del Nord Italia detta zucca di bottiglia o zucca da vino, appartenente alla famiglia delle Cucurbitaceae; pare che, queste zucche possano essere utilizzate come contenitore naturale per i liquidi.
Dopo Monsieur de la Quintinie, attivo alla corte del Re Sole e geniale innovatore del jardin potager, si direbbe che, in Italia, tale orto-giardino sia andato morendo; i fiori non sono più coltivati insieme a ortaggi, legumi e alberi da frutto.
In realtà, questa stupenda commistione, non solo piacevole da un punto di vista estetico ma necessaria da un punto di vista della bio-etica, è svanita nel nulla.
Ricordiamo gli appezzamenti sinergici che i nostri anziani dedicavano, fino ai primi anni Ottanta, alla coltivazione di primizie da combinare ad aromi e fiori tra i quali gladioli, nasturzi, zinnie, malva, camomilla, lavanda e calendula.
Ora, invece, gli orti sono regolati da una ferrea disciplina minimalista e al contempo ammanierata, di simmetria classica; nulla è disposto a caso ma secondo un severo principio di appartenenza “etnica”, per specie botanica.
Ogni elemento “destrutturante” deve essere eliminato - letteralmente - “alla radice”. Invece in questi nostri “giardini del recupero”dove, in modo indissolubile, si ricicla e compenetra sia l’indispensabile che l’ornamentale come smeraldi d’aria, le grandi foglie rampicanti delle verdure s’incontrano alla Bella di Notte (Mirabilis jalapa) e alle diverse, profumate tipologie di menta selvatica che cresce nei luoghi più umili, tra i ruderi, nei cantieri, portatrice di molte proprietà salutari e che suggerisce il motto ciclico “Recisa floret”.

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